Papadum

Ricordo la prima volta che ho assaggiato i papadum.
Era in uno di quei party “casalinghi” tenuti a Cardiff, in un appartamento di ragazzi indiani, papadum fritti al momento, speziati e unti da permetterci di buttare giú birra e quant’altro fosse stato disponibile con un minimo di tasso alcolico.
Al tempo non eravamo sofisticati da leggere l’etichetta e abbastanza democratici: non si guardava alla provenienza e tutti erano uguali, liquori, vini e distillati vari. Cosí, all’ingresso della festa in un contenitore di quelli neri per la spazzatura, comprato alla bisogna e adeguatamente pulito e disinfettato (tutto adeguatamente pulito e disinfettato era utilizzato alla bisogna, anche la vaschetta dove il mio compagno d’appartamento soleva lavare la biamchieria; era solo una questione di disponibilitá e dimensione), tutti versavano quello che avevano portato; sherry, uischi del discount, wodka napoletana, e, peggio di tutto, Lambrusco Bianco, in una sorta di sangria universale.
E alla fine si era tutti ubriachi quel tanto da essere ancora in grado di capire che forse era meglio mettere qualcosa d’altro nello stomaco e cercare quella lattina di birra del discunt snobbata all’inizio della serata.
In quella particolare serata, smarrita la diritta via, mi ritrovai in un oscura cucina, in un ballo a tre con un ragazzo di colore Africano che si lamentava nessuno ballava con lui perché era grande e grosso e nero e una ragazza di Minorca che ci cantava l’unica canzone che conosceva in Italiano, Alba Chiara di Vasco Rossi. O meglio, solo i primi 3 versi come un disco rotto.
I successivi sviluppi della serata non li ricordo, ma mi piacerebbe poterli indovinare.
Ció che ricordo é che quella particolare notte, per la prima volta dopo mesi e mesi, avevo tagliato il pizzetto ed avevo il viso pulito.
Stasera ho chiesto papadum ancora, in un ristorante indiano a Hue, Vietnam, con nel menú pizza 4 stagioni e pollo all’afghana e l’immancabile tandori e covers di George Michael come sottofondo.
E ancora una volta sono senza barba, o quasi, dopo l’intervento maldestro di un parrucchiere vietnamita. Avevo chiesto che mi sistemasse i capelli (i peli sulla testa cioé) perché erano di quella lunghezza strana che ti fa sembrare un impiegato postale di mezza etá, di quelli coi pantaloni grigi e la camicia a righe stinte.
Cosí, dopo un po’ di contrattazione sulla profonditá del taglio, lui proponeva 3mm, io rilanciavo 1mm, dopo i capelli é passato nella parte inferiore, e non son stato abbastanza lesto a bloccarlo. Alla fine ho tentato di salvare quel che era rimasto di salvabile.
Cosí da tre giorni ho una barba che sembra di tre giorni, e con la faccia bruciacchiata da un sole che chiamerei afgano ma non so bene perché, sembro Tuco. Il che mi fa sentire un po’ meglio.

Comments

  1. Oh goodness gracious me!
    me love papadums!
    How can I be more politically incorrect? I don’t know, but I can try.
    By the way, I really love papadums and I really miss Indian cuisine here in Bari.
    Have one for me.
    Shaven traveller ;O)

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