Settembre a Barcelona

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Eccoci qua. È successo di nuovo. E ci chiediamo come. Innamorarsi è facile, la cosa più facile e più difficile. Uno sguardo o forse alcuni, gli occhi impegnati in uno sguardo d’insieme, ben sapendo che è il particolare che ci rimane nella retina. E non servono laser a ripararla. Un odore, che non sappiamo decifrare, vino forte, rosa di venere, odor di cozzapesca. Una donna? Troppo facile, troppo banale. Succede troppo spesso per potersene ricordare. Cento volte al giorno. Cento emozioni deboli non ne fanno una forte. E abbiamo cuori piccoli per tenerne traccia. Lasciamo tutto al caso e crei la fortuna. Innamorato si, ma di una via di fuga. Succede al solito di notte, appena arrivato, in questa città che mi accoglie come sempre a gambe aperte. L’aero che atterra troppo tardi, la corsa in bus. Lo zaino buttato sul letto, la doccia veloce a togliere l’odore di sedile ryanair dalle spalle, una corsa in strada, a chiedere informazioni alla gente ancora a suo agio a quest’ora di notte. Amici aspettano all’ingresso di un bar che ancora non conosco, e loro vanno via che domani si lavora ed io sono l’unico in vacanza, di giovedì a Barcellona. Bar Cuba Libre gin&tonic e sigaretta, una due fino alla fine delle cartine. Musica Brasile Jamaica con valigia di cartone, zaino e chitarra con nastro adesivo marrone. La cameriera bionda come ogni cameriera bionda, bionda biondina, nome indiano da catalana e fine della serata. Lei è più interessata al mio amico, ma sono io quello che parla spagnolo. Caballeros di Tequila per tenere impegnato il barista, lo straccio sul bancone, sale sulle dita e sulle labbra. La notte è ancora giovane, banalità da bar, ma se questo chiude un altro resterà aperto ancora un altro po’ e poi un altro, perchè questa è di nuovo Spagna e la Movida non si è ancora mai mossa. Il barista butta la saracinesca giù, solita piccola riunione per decidere dove e quando e come, e noi siamo parte del gruppo adesso. Movimenti lenti e passo veloce verso la le ramblas. Chiacchiere in spanglish come a tanto tempo fa a Dublino. Macarena è il posto prescelto, e se vi aspettate ritmi latini, avete sbagliato tutto. La techno pompa duro da queste parti e cento corpi ballano in venti metri quadrati dove il buttafuori ci fa entrare perchè siamo amici di amici. Sudore e fumo. La fila al cesso per smaltire l’alcol in eccesso e far posto a quello che verrà. Far finta che la musica ti prenda, per spiare dagli occhi socchiusi la cinesina-giapponese-filippina occhi a mandorla che ti balla accanto e sai che non la vedrai ballare ancora e il sangue sale in posti dove non dovrebbe e gli occhi lacrimano non sai più se per il fumo o quello che hai bevuto e quello che berrai. Al bancone la bottiglietta di tonic aspetta pronta a frizzare un altro po’ di ginepro. E così fino all’alba. Alba senza forni e cornetti ma solo le ramblas vuote verso plaza Cataluña e un po’ di freddo sotto la giacca leggera. E saluto la cameriera bionda e il barista rasta e il mio amico che l’accompagna a casa. E sveglio il portiere di notte che ci mette un po’ a capire il mio spagnolo smozzicato. E mi butto sul letto, buttando lo zaino da una parte, fischi nelle orecchie e so già che è successo un’altra volta.

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