Where the streets have no name

and no tarmac too

Io ho preso molti taxi nella mia vita.
La maggior parte di questi dopo cena, ma questa é un’altra storia.
E in piú, ho sempre trovato molti tassisti insoliti, per non dire pazzi.
In passato sono riuscito a scappare da un taxi clandestino a Cittá del Messico, sono stato portato in giro nella notte di Natale da un tassista mezzo cieco a Dublino, mi sono perso a Seven Sisters a Londra, con tassista irregolare, che non aveva idea dove eravamo e dove dovevamo andare (salvato da un Mesha miracolosamente apparso in giacca da camera e pigiama nel bel mezzo di Walterstone).
E qua a Cuba é successo di nuovo.
Premessa: dopo due notti in Rancho Luna, una spiaggia ancora pristina e incontaminata a sud di Cienfuegos, dovevamo raggiungere Cayo Coco, dove ci aspettava un’altra spiaggia meno incontaminata (lo confesso, abbiamo prenotato in un resort di quelli tutto incluso – ma non sapevamo quello che facevamo). É sabato, i bus non arrivano a Cayo Coco, e non arrivano neppure alla cittá piú vicina, Moron. La ultima possibilitá é un bus o un collectivo per Ciego de Avila, da lí arrangiarsi con un taxi. Quindi lasciamo Rancho Luna di prima mattina, destinazione Cienfuegos.
Tombola. Dopo appena 5 minuti in Cienfuegos giá abbiamo un taxi che é disposto a portarci direttamente a Cayo Coco! Un tipo conosce un tipo che conosce un tipo che ha una macchina con un adesivo taxi sul cruscotto e che é disposto a portarci a destinazione.
Non ci crediamo, ma é vero. La fortuna ci aiuta. Cosa potrebbe andare storto?
Be’, non ci crediamo ma sembra vero. Dopo aver visto l’auto non ci sembra piú cosí vero.
Naturalmente non un modello recente, la porta lato guida bloccata, il sedile del passeggero tenuto su da un pezzo di bullone arruggininto, e il vetro del finestrino sostituito da una lastra in plexiglas mal tagliata. Non che avesse fatto differenza: appena entrati il finestrino é stato aperto e tenuto cosí per tutta la durata del viaggio. Il motivo lo abbiamo capito solo dopo pochi chilometri: lo scarico aveva trovato come entrare nell’abitacolo.
All’interno non funzionava nulla: il contachilometri era sullo zero, l’indicatore carburante pure, tutti i possibili interruttori della plancia era stati semplimente estirpati, come denti vecchi. L’unica a funzionare impeccabilmente era l’autoradio, nuova e via di reggaeton a palla.
E si va, e si va.
Dopo 10 chilometri, ad un incrocio, la macchina si ferma.
Inutili i tentativi di rianimarla: lo starter é partito, tocca andare a spinta.
Ok, il nostro viaggio finisce qua, dobbiamo trovare un altro taxi.
E invece no. Con la determinazione dei folli, il nostro guidatore ritorna sulla strada. Che ci serve lo starter? Basta non spegnere la macchina.
10 chilometri ancora, e stavolta é la frizione a partire, o meglio il cavo della frizione. Le marce entrano solo se ci muoviamo.
Non siamo ancora arrivati a Santa Clara, meno di un quarto dei chilometri che ci aspettano, e giá abbiamo perso due terzi della macchina.
Ma il nostro tassista é cubano, e da cubano stoicamente compie un atto di eroismo che solo a Cuba.
Con l’aiuto di altri cubani, sempre pronti a dare una mano, riesce a portarci a Cayo Coco praticamente guidando senza frizione e senza stop intermedi. E quando dico senza stop, intendo proprio senza fermarci mai, incroci clackson e via, sorpassi clackson e via, pedoni sulla strada clackson e via. Chi frena é perduto, o, nel nostro caso, bloccato.
Non é stata un’impresa facile. Dato anche il fatto che a) il tipo non era mai stato a Cayo Coco prima di allora, e quindi non conosceva la strada, e b) che nella sua ingenuitá ha chiesto a me di fornire le indicazioni per trovare la strada, il folle.
Armato del cellulare di Bea, che, da buona tedesca previdente, aveva giá scaricato le mappe, imposto la via piú breve da A a B e inizio a dare indicazioni al guidatore.
La via piú breve non é sempre la via piú veloce. Il navigatore di Bea ci aveva portato fuori dalla Carrettera National, la statale, e nel mezzo della sierra, dove le strade non hanno nome, e tantomeno asfalto. Infatti noi eravano l’unica auto.
Attorno a noi carretti trainati da cavalli sonnolenti, trattori dell’ultimo piano quinquennale, e ragazzini di ritorno da scuola, e contadini a cavallo, e vecchi che dal lato della strada vedevano questa auto rosso bordeau con dentro una tedesca rosso aragosta che guardava da un finestrino come da un acquario, uno straniero con un cappello di paglia blu elettrico che dettava indicazioni a un Cubano che “ahi ahi que coincidencia!” mentre grattava una marcia dopo l’altra per permetterci di evitare l’ennesima buca.

Ma alla fine Cayo Coco é apparso all’orizzonte. All’hotel l’auto si é finalmente fermata, abbiamo augurato al tassista buona strada e buona fortuna (e ne aveva bisogno per il ritorno), mandato un bacio al suo ultimo nato, Fabio, e dopo un’altra spinta, lo abbiamo visto andar via, mentre noi entravamo nel nostro nuovo inferno (il resort).
La macchina eroica non era una vecchia chrevrolet di quelle che si vedono nelle riviste di viaggi, come quella che ci ha portato dall’Avana a Cienfuegos, e nemmeno una Lada residiato sovietico degli anni prima della caduta del Muro, le mitiche Lada copia della Fiat 131.
Era una due volumi 3 porte primi anni 80, col colore tipico di quegli anni, rosso bordo`, uno di quei modelli che ci pensi un attimo e sai di conoscere, ma non ti ricordi perché o come.
E poi ti sovviene, come l’eterno e le morte stagioni.
Una Alfa Romeo Nissan Auto per qualche strana ragione era capitata su un isola del caribe, in mezzo a rivoluzioni e periodi speciali, per darmi forse uno delle migliori corse in auto e certamente uno dei piú bei ricordi di Cuba.

 

 

 

 

Arna, e sei subito … Alfano

 

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